RaccontArti: da Bosh alle forme anatomiche. Quando la paura diventa arte

RaccontArti: da Bosh alle forme anatomiche. Quando la paura diventa arte

Come un maestro fiammingo del XV secolo ha influenzato il mio linguaggio artistico contemporaneo


L'evoluzione di una paura infantile

Ricordo ancora quella sensazione: il cuore che batteva più forte quando sfogliavo le enciclopedie d'arte di mia madre e arrivavo alle pagine di Hieronymus Bosch. Quelle creature impossibili, quei volti deformi che sembravano guardarmi direttamente dalle pagine ingiallite, mi terrorizzavano e al tempo stesso mi affascinavano in modo irresistibile.

Crescendo, quei dipinti che da bambina sfogliavo velocissima hanno iniziato a chiamarmi diversamente. Non scappavo più dalle creature di Bosch, anzi era come se avessi finalmente trovato il coraggio di sostare in quella zona di confine tra terrore e meraviglia.

E così la tensione è entrata naturalmente a far parte del mio lavoro artistico.

Il seme della tensione creativa

Credo che quel sentimento doppio — paura e fascinazione insieme — sia rimasto come un seme che riaffiora costantemente nelle mie opere. Quando lavoro con le forme anatomiche, ad esempio, c'è sempre un confine sottile: da un lato la fragilità, dall'altro qualcosa di disturbante, che però attrae proprio perché impossibile da ignorare.

Non è una scelta programmatica, ma penso che il mio modo di guardare e di creare nasca proprio da quella prima esperienza infantile: la paura trasformata in curiosità e la curiosità trasformata in immagine.

Bosch mi ha insegnato, senza che me ne rendessi conto, che l'arte più potente non è quella che ci fa sentire a nostro agio. È quella che ci mette in crisi, che ci costringe a confrontarci con parti di noi che preferiremmo evitare.

L'arte del perturbante

Il confine sottile tra attrazione e repulsione è diventato il territorio privilegiato della mia ricerca artistica. Suscitare emozioni è uno dei compiti fondamentali dell'arte, e non parlo solo di bellezza o meraviglia: anche il disagio, la paura e il senso di straniamento sono strumenti potentissimi per entrare in contatto con chi osserva.

Molti artisti contemporanei che ammiro lavorano su questa linea sottile. Penso a:

  • Cindy Sherman, con i suoi autoritratti che giocano magistralmente tra inquietudine e identificazione
  • Kiki Smith, che esplora il corpo umano in modo fragile e potente, rivelando la bellezza del vulnerabile
  • Damien Hirst, che affronta la morte e la decomposizione trasformandole in esperienza visiva intensa
  • Maurizio Cattelan, con opere ironiche ma spesso disturbanti, che mostrano come l'emozione possa diventare veicolo per pensare e confrontarsi con il mondo

Per me l'emozione è il vero punto d'incontro tra chi crea e chi osserva: è in quel momento che l'opera smette di essere semplice oggetto e diventa esperienza condivisa, dialogo silenzioso ma intenso.

Nel mio lavoro, il corpo, le forme e i materiali sono strumenti per creare questa tensione sottile. Le opere, anche quando appaiono pulite, pop e curate, custodiscono sempre un lato grottesco e inquieto, un filo invisibile che lega il quotidiano al perturbante.

L’ ultima opera che ho creato, Versus, trova spazio in questa dimensione, aprendosi ad un dialogo aperto con il fruitore, che partecipa attivamente all’opera, contribuendo all’esperienza stessa attraverso l’azione, mantenendo così un dialogo costante.

Dall'accademia alla maturità artistica

Questo approccio non è nato con la maturità artistica, ma era già presente nei miei lavori accademici. Già allora emergeva questo contrasto caratteristico: autoritratti costruiti con frammenti anatomici, oggetti comuni trasformati in simboli carichi di significato, nature morte in cui la perfezione formale nascondeva sempre una corporeità disturbante.

L'eleganza estetica, nel mio lavoro, non attenua lo straniamento, ma lo amplifica. Costringe chi guarda a guardare oltre la superficie, a non fermarsi alla prima impressione di armonia e bellezza.

La lezione di Bosch oggi

Quello che Bosch mi ha insegnato attraverso le pagine di quelle enciclopedie è che l'arte autentica nasce sempre dal coraggio di guardare ciò che preferiremmo evitare. Che sia la paura, la fragilità, la mortalità o semplicemente l'imperfezione umana, le emozioni "scomode" sono spesso il carburante più potente della creatività.

Non si tratta di essere sempre cupi o drammatici, ma di essere onesti. E l'onestà, nell'arte come nella vita, a volte fa paura. Ma è proprio in quella paura che si nasconde la possibilità di creare qualcosa di veramente significativo.

Oggi sento ancora quel brivido infantile davanti alle creature di Bosch. Non più terrore, ma riconoscenza per un maestro che ha avuto il coraggio di mostrare i suoi demoni al mondo, insegnandomi che è possibile trasformare il perturbante in bellezza, la paura in arte, l'inquietudine in strumento di connessione profonda con l'altro.